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venerdì 22 marzo 2013

Gulaggh - "Vorkuta"


Full-lenght, Coma Section, 2012


Il XX secolo non è il periodo storico che noi contemporanei vorremmo fosse tramandato a un’ipotetica delegazione diplomatica proveniente da un’altra dimensione. Orrori, stermini, guerre considerate giuste, il peso dell’eredità del nazi-fascismo, la violenza degli anni di Piombo, il declino di tutte le possibilità di equilibrio mondiale fondato principalmente sulla coesistenza pacifica sono diventati i topoi agevolmente associabili al cosiddetto “secolo breve” (sovente dimenticando gli sviluppi positivi di tali negatività).


Tuttavia, in campo musicale il suddetto secolo ha portato ai giovani il Rock’n'Roll, generatore di un processo teso alla liberazione ed all’autodeterminazione di almeno tre generazioni, totalmente concentrate sulla costruzione di un orizzonte artistico dinamico, nuovo, con ampi margini di discontinuità, ovviamente con il fronte difensore dell’antico. Si ricordi l’anarchia elettrica di Dylan, superata dalla tossica poetica di Luo Reed, ancora sopraffatta dalle istanze della Kosmikmelodie di Tangerine Dream e Kraftwerk, sacrificata a sua volta sull’altare della potenza irriverente dell’Heavy Metal, padre del Death, del Black e via citando sottogeneri nati a cavallo tra i due millenni. Qualsiasi traguardo sembrava a portata di mano, ma nemmeno i più dotati visionari dell’epoca sessantottina avrebbero potuto immaginare che gli abitanti del nuovo secolo, tanto atteso da Kubrik, permettessero la nascita dei Gulaggh, probabilmente il colpo di grazia ai concetti teorici dell’armonia musicale tramandata da Bach, poi dal leit-motiv di Wagner, dal manuale di armonia di Schoeneberg dei primi due decenni del Novecento. La formazione la cui line-up è sconosciuta (l’unica informazione disponibile accredita uno dei membri come un infermiere psichiatrico, l’artefice della registrazione delle angoscianti voci di schizofrenici che si susseguono in Vorkuta) supera il confine tra espressione musicale articolata e semplice improvvisazione rumoristica, presentando all’ascoltatore percussioni fuori tempo, ottoni ronzanti, urla tormentate, sirene anti-aeree, atmosfere gelide, le quali, con poca immaginazione, seguendo il concept dell’album, conducono senza indugio nei corridoi dei famigerati Gulag, i campi di sterminio costruiti durante il primo periodo comunista della Russia ma già presenti, in altre forme sicuramente meno letali, nella storia sovietica, specialmente sotto il dominio zarista (chi di voi ha reminiscenze liceali potrà ricordare che anche il buon Dostoevskij trascorse un decennio in quello che era definito “confino”, somma di detenzione ed allontanamento dalla società civile precedentemente frequentata), artefici dello strangolamento della resistenza anti-stalinista, assai abitati dopo le purghe del 1934. I
nostri non sono nuovi a questo tipo di indagine, avendo, sotto il monicker Stalaggh, pubblicato una trilogia affine a quella che ha Vorkuta (uscito la prima volta nel 2008, poi ri-edito, specialmente dalla sempre attenta Crucial Blast, basata in Oregon) come primo capitolo, destinata, nelle intenzioni del gruppo, a porre fine alla carriera degli artisti che, stando alle dichiarazioni affidate alle interviste, provengono dalla scena Black\Death Metal, forse olandese (ed è indubbio, infatti, l’esperienza nella manipolazione sonora, probabilmente ottenuta nella “vita” precedente, quando si occupavano di composizione canonica).

Assolutamente difficile formulare un giudizio che tenga conto delle componenti assemblanti Vorkuta, evitando al tempo medesimo di scivolare nell’astratto: da un lato il trio (o supposto tale) affronta la registrazione (svoltasi in luoghi isolati, ospedali, spazi aperti) come parte integrante trasformandola in elemento fondante, restando comunque nel campo dell’analogico; dall’altro, l’assenza voluta di una qualsiasi struttura che non siano le melodie (definiamole in tal modo per non complicare il ragionamento) degli strumenti non convenzionali obbliga l’utente a proporre un’interpretazione, stabilendo così una relazione stimolante, particolare certamente encomiabile. A parere di chi scrive, è proprio quest’ultima multimedialità intesa come integrazione continua di divergenti atteggiamenti nei confronti del lavoro: chi vedrà i quarantacinque minuti nelle vesti di ostacolo insormontabile, abbandonando la sperimentazione; chi, entusiasta, si sottoporrà a questa tortura psicologica cinque volte al giorno, comprendendone la sacralità blasfema (nella scia dei Blut Aus Nord); chi, invece, ignorerà completamente l’album seguendo i dettami della linea di pensiero secondo la quale il Dark Ambient (inglobando erroneamente nella definizione l’insieme di generi dal temperamento imprevedibile), donando a Vorkuta l’invalutabile qualità di causare accese discussioni. In fondo, ripetendo qui un credo piuttosto diffuso nelle avanguardie, non è questo lo scopo precipuo dell’Arte? Formulando inoltre una valutazione prettamente tecnica-asettica, il risultato della terapia - calarsi nelle storiche sofferenze umane (e perché umane, ancor più crudeli ed efferate) - per rinascere con consapevolezze nuove, dipende dalle pregresse conoscenze nell’ambito specifico (se siete fan dei Satanic Warmaster, forse questo non è il vostro territorio prediletto), senza, affermando ciò, dissuadere nessuno dall’effettuare almeno un tentativo.

Recensione a cura di: Thanatos 
Voto: 75/100

Tracklist:

01.Vorkuta 45:00

Durata 45:00

http://www.discogs.com/artist/Gulaggh