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venerdì 4 maggio 2012

Apnea - "Silent Cities"

EP, Immortal Frost Productions, 2012


Non è una novità che il mondo del fangoso Sludge, ricco di atmosfere suggestive, si sposi con l’essenzialità rigorosamente difesa del Black, soprattutto se il progetto in questione proviene dalla fucina instancabile del più giovane dei continenti, l’Australia (omologata alla Nuova Zelanda!).


Ultimamente infatti, la terra dei canguri sforna inarrestabile talenti inequivocabili, capaci, seppur in contesti underground, di imporsi con disinvolta semplicità. Si faccia rimando all’immenso talento di Dis Pater, unico membro alle spalle dei Midnight Odyssey, pregevoli a tal punto da scomodare ingombranti paragoni prima con Burzum, poi con uno dei sovrani del depressive europeo, il tedesco Wedard. Non distanti da queste vette di qualità si collocano gli Apnea, duo di Auckland, introverso, timido, caratterizzato dall’amore per le atmosfere tenui, soffocanti, disperate, nell’accezione più metafisica dell’aggettivo. Non offrono voli pindarici: batteria schematica in quattro quarti, discretamente sostenuta da un sicuro lavoro dietro alla doppia cassa, basso scarnificato e pressoché ininfluente, partiture acustiche che vincono di cent’anni sulle sfuriate monocordi delle controparti elettriche, voce scream canonica, propensa inoltre a concedere un degno palcoscenico al registro pulito. Dalla produzione leggermente filtrata, industriale si potrebbe osare, il tocco malsano che completa il cerchio.

Scorrendo queste ultime righe vi sarete domandati il motivo del mio entusiasmo. Ebbene, il gruppo svela un’insospettabile vena melodica, certamente inusuale se consideriamo sia il titolo dell’album, "Silent Cities", sia l’attitudine che contraddistingue le commistioni affini a quella degli Apnea, propensa a comunicare la disturbante ed alienante pesantezza del vivere. Invece i nostri australiani sembrano nascondere ben altro messaggio, più vicino a sentimenti umani, meno gelido e freddo. Paiono abbracciare la lezione magistrale di colleghi americani quali Agalloch, per quanto riguarda la circolarità delle costruzioni acustiche, e Wolves In The Throne Room, facendo riferimento al connubio ira funesta-attimi di riflessione. La torba dello Sludge giace in un angolo, pronta a riemergere, tuttavia non spiccatamente prevaricatrice. Non mancano, in aggiunta, concessioni all’Ambient in senso lato, come dimostrano le due tracce "Mibi" e "Sve", dall’architettura acustica, chiaramente ispirate al "White" EP degli statunitensi dell’Oregon. La calma e la riflessione regnano sovrane, pochi accordi scanditi al ritmo semplice dei piatti, il cui volume è volutamente mantenuto sotto una determinata soglia. La progressione accompagna dolcemente l’orecchio verso il riconoscimento della melodia portante, indimenticabile per la sua inafferrabile delicatezza. Non è nemmeno necessario appoggiarsi ad un assolo ingombrante, la chiarezza espressiva, marcata da estemporanei giri sui tom è sufficiente. E il cuore pulsante dell’opera si concentra qui, nella immediata semplicità, dimostrazione di talento. Solitamente in un EP è fondamentale dare sfoggio dalla propria bravura per irretire possibili sostenitori futuri. Ha un che di affrettato questo atteggiamento, di poco naturale. Al contrario, nei 23 minuti profferti dagli Apnea si riconosce la spontaneità di un ritrovo in sala prove, di episodi composti dando libero sfogo alle emozioni, siano esse incarnate in un feroce blast-beat o in improvvisi, quanto graditi, movimenti intimistici. Il vuoto delle pianure australiane, battute perennemente dal vento, permea violentemente i solchi del disco, rendendo la fruizione un attimo intenso, un ritorno al primordiale, che, nella nostra vita densamente impegnata, tecnologica, non possiamo permetterci così spesso.

Fuori da iperbole, l’opera si conferma solida anche discorrendo di questioni puramente ed asetticamente tecniche. Nonostante il materiale presente sia scarso in numero, le doti tecniche, in primis di Drew Reid, il quale ha giurisdizione su tutti gli strumenti, a differenza del compagno di “sguardi alle scarpe” Ben Mikkelsen, le cui mani si occupano delle sole chitarre addizionali, sono decisamente notevoli, allo stesso modo in cui lo stile di scrittura è da valutarsi pulito, brillante, ben sviluppato. Promossi, a gran voce.

Recensione a cura di: Thanatos
Voto: 77/100


Tracklist:

1.Mediums 5:26
2.She is… 3:47
3.Mibi 4:21
4.Sleeping Horses 7:34
5.Sve 2:05

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